ConnAct Difesa: a Roma focus sulle sinergie tra Nato, Ue e Italia

Bruxelles – Il piano Rearm Europe dell’Ue, insieme a un quadro geopolitico complesso che si muove tra guerre e dazi, fa emergere la necessità di confrontarsi e discutere attorno al tema della difesa comune. L’evento Connact Defence & Security 2025, dal titolo “Difesa comune europea: finanziamenti e integrazione industriale”, organizzato oggi (15 aprile) a Roma da ConnAct, la piattaforma di eventi che favorisce il confronto tra soggetti privati e istituzioni attraverso momenti di incontro e networking, rappresenta proprio uno spazio di discussione in questo senso.
Nel corso del primo panel, intitolato “Piano europeo e Libro bianco per la Difesa Ue: una nuova dimensione per l’Europa”, il confronto si è concentrato sulle recenti iniziative comunitarie in materia di difesa e sicurezza – cioè appunto il Libro bianco sulla Difesa, targato Kaja Kallas (Alta rappresentante per la politica estera) e Andrius Kubilius (commissario alla Difesa), e il piano ReArm Europe di Ursula von der Leyen e la più ampia strategia Readiness 2030 – nonché sulle sinergie tra il livello europeo e quello della Nato, nell’ottica di un rafforzamento della partnership transatlantica.
A prendere la parola per prima è stata Anne Fort, vice capo di gabinetto di Kubilius, per sottolineare come il Libro bianco sia di fatto “una chiamata all’azione collettiva” per i Ventisette che si focalizza sul “senso di urgenza” delle sfide odierne. Il testo, sottolinea Fort, si concentra sulla necessità di “investire massicciamente e rafforzare le nostre capacità” in diverse aree, ma sempre puntando al valore aggiunto dato dalla cooperazione tra le cancellerie: parliamo, tra le altre cose, di investimenti collaborativi, appalti congiunti, interoperabilità delle forze armate, progetti comuni sugli strategic enablers.
Un altro tema chiave è quello dell’industria. Il problema, qui, è che il mercato è frammentato. Serve rafforzare la base industriale europea aggregando la domanda, semplificare l’ecosistema normativo, sostenere gli investimenti anche attraverso il bilancio Ue e integrare le tecnologie innovative. A tale riguardo, dice Fort, è importante chiarire il ruolo dell’Unione. “Non c’è competizione tra Ue e Nato” bensì complementarietà, ribadisce la funzionaria: Bruxelles deve “sostenere gli Stati membri lungo l’intero ciclo di sviluppo delle capacità” strategiche, in modo da “renderli partner affidabili all’interno dell’Alleanza”.
Per il generale Domenico Ciotti (direttore del IV reparto di coordinamento dei programmi di armamento della Direzione nazionale degli armamenti), è importante che l’orizzonte temporale abbracciato dai decisori sia di medio-lungo termine “per consentire una pianificazione adeguata e anche per permettere alle aziende di investire sia nel campo tecnologico sia nelle competenze”. Il tema che va approfondito, sostiene, è quello degli “stati di maturazione“: un aggiornamento continuo delle pratiche strategiche per rimanere al passo con “l’evoluzione costante e rapida delle minacce e delle tecnologie” (come ad esempio i sistemi cyber e di intelligenza artificiale).
Oltre a questo, aggiunge il generale, “la cultura della sicurezza si costruisce ogni giorno” ed è importante che anche i non addetti ai lavori familiarizzino coi concetti gemelli di “minaccia” e “vulnerabilità“, perché permeano la vita quotidiana delle persone. Cruciale, dunque, lavorare sulla “consapevolezza dei rischi cui siamo costantemente esposti”, che è poi quanto mira a fare la Commissione europea con la sua strategia sulla preparazione.
Sulla complementarietà tra strutture Nato e Ue è tornato anche l’ambasciatore Marco Peronaci, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Alleanza, il cui intervento si è articolato intorno a tre livelli. Il primo è il legame transatlantico, che rimane “l’essenziale fondamento della sicurezza collettiva e dell’identità” occidentale nel breve periodo. Per mantenerlo vivo e funzionale, sostiene, è necessario che “l’Ue lavori con la Nato per incrementare la base industriale-tecnologica” e che nel Vecchio continente non vengano duplicati gli sforzi portati avanti dall’Alleanza.
Per costruire il “pilastro europeo della difesa nel medio-lungo termine” (secondo livello), l’Ue può partire implementando la pianificazione decisa in sede Nato, con un occhio di riguardo ai cosiddetti capability target per sviluppare “deterrenza strategica e capacità industriali” su entrambe le sponde dell’Atlantico. La sfida è quella di non sfilacciare ulteriormente l’Alleanza, evitando divaricazioni politiche che fanno solo il gioco delle autocrazie. Il terzo livello è quello dell’Italia, che deve giocare un ruolo di “ponte” tra Europa e Stati Uniti: cioè, dice, precisamente quello che si appresta a fare la premier Giorgia Meloni durante la sua visita a Washington di dopodomani.
Quello delle relazioni Ue-Nato è del resto un tema caro a diversi panelist. Tra loro, l’ammiraglio Dario Giacomin (rappresentante militare del Belpaese presso i Comitati militari Nato e Ue) richiama l’importanza di una “operazione culturale” di riconoscimento reciproco tra i decisori delle due organizzazioni, che infatti “stanno imparando a collaborare” dopo decenni in cui i rispettivi sistemi avevano operato separatamente. La collaborazione, dice, si trova già “in una fase molto avanzata nel supporto all’Ucraina, che è il primo fronte della difesa europea”.
Per Giacomin, gli aspetti su cui ci si deve concentrare a Bruxelles sono tre. La “chiara enunciazione dei capability gaps” per capire dove e come orientare gli sforzi, tanto per cominciare: “C’è molto da fare e gli Stati membri non possono fare da soli”, spiega. Poi occorre decidere “chi fa cosa” e dividersi i compiti tra cancellerie e organismi comunitari, anche “snellendo la burocrazia” quando serve. Terzo, investire pesantemente nell’innovazione tecnologica perché “l’Occidente manterrà la propria deterrenza solo se si manterrà all’avanguardia”.
L’onorevole Lorenzo Cesa, deputato e capo-delegazione italiano all’Assemblea parlamentare Nato, si è infine soffermato sulla necessità che “la politica parli un linguaggio di verità alle persone”. Partendo dalle pietre angolari della nostra politica estera nazionale (atlantismo ed europeismo), dice, “dobbiamo fare da ponte tra Europa e Stati Uniti” avvantaggiandoci dei rapporti “straordinari” con la delegazione di Washington. “C’è desiderio di collaborazione“, certifica Cesa, secondo cui l’unica richiesta, legittima, avanzata dallo zio Sam è che “ci facciamo più carico della nostra difesa anche dal punto di vista della spesa militare”.
E per mantenere credibilità all’interno della Nato, sostiene, va raggiunto e magari anche superato l’obiettivo del 2 per cento del Pil in difesa. Per far questo occorre “utilizzare le risorse che l’Ue mette a nostra disposizione” tramite il piano ReArm Europe. Il messaggio per gli alleati di governo è semplice: “Non sfruttare questa opportunità sarebbe un errore madornale“, perché “le sfide sono enormi e l’Alleanza si rafforzerà sempre più”, dunque serve che tutti facciano la loro parte.
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