Egitto e Bangladesh, perché l’Ue (e l’Italia) li considera Paesi d’origine sicuri

Aprile 17, 2025 - 15:30
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Egitto e Bangladesh, perché l’Ue (e l’Italia) li considera Paesi d’origine sicuri

Bruxelles – “I fatti dimostrano che avevamo ragione”, ha esultato ieri (16 aprile) Giorgia Meloni, scorrendo l’elenco dei Paesi d’origine sicuri stilato dalla Commissione europea. Ursula von der Leyen le ha servito un assist perfetto,  inserendo tra i 7 anche Egitto e Bangladesh, i due Paesi finora al centro del controverso progetto della premier italiana di trasferire i richiedenti asilo suscettibili di procedure accelerate negli hotspot in Albania. Così, mentre la Corte di Giustizia dell’Ue è chiamata ad esprimersi sulla questione, è Bruxelles ad offrire dati e valutazioni che giustificherebbero la scelta italiana di ritenere quei Paesi – che rappresentano circa il 30 per cento delle domande d’asilo in Italia – come Paesi d’origine sicuri.

La Commissione europea si è affidata all’Agenzia Ue per l’Asilo (Euaa), che ha suggerito di prendere in considerazione i Paesi di origine che generano un “carico significativo di domande di asilo nell’Ue” e che hanno però un tasso di riconoscimento delle richieste pari o inferiore al 5 per cento. Inoltre, Bruxelles ha ridotto il ventaglio a Paesi che figurano già negli elenchi nazionali degli Stati membri. Secondo quanto si legge nella proposta legislativa, le informazioni messe a disposizione dall’Euaa per valutarne la sicurezza si basano su “una varietà di fonti“, tra cui relazioni delle stesse istituzioni europee, rapporti dell’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali (Fra), dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e di altre organizzazioni internazionali e non governative, analisi di think tank e reportage verificati sui media.

Sia Egitto che Bangladesh sono presenti nelle liste di sei Stati membri, ed entrambi hanno registrato nel 2024 un tasso di riconoscimento delle richieste d’asilo del 4 per cento. A livello Ue, lo scorso anno i richiedenti d’asilo bengalesi e egiziani sono stati il 7 per cento del totale, circa 68 mila. Più di due terzi l’hanno fatto in Italia, dove solo il Bangladesh rappresenta il 21 per cento di tutte le domande d’asilo (33,455) e l’Egitto l’8 per cento (11,979).

La transizione politica in corso in Bangladesh

Per quanto riguarda il Bangladesh, la Commissione europea sottolinea che sta “attraversando una transizione politica che lo allontana da un sistema repressivo caratterizzato da frequenti violazioni dei diritti umani”. A Dacca vige una repubblica parlamentare, in cui lo scorso agosto si è insediato un governo provvisorio guidato dal premio Nobel per la pace Muhammad Yunus. L’ex premier, Sheikh Hasina, è stata rovesciata da ampie proteste antigovernative durante le quali le autorità avrebbero arrestato 11 mila persone e ucciso oltre 600 manifestanti. Il governo ad interim dovrebbe organizzare nuove elezioni e avviare i lavori per ripristinare le istituzioni democratiche.

Il premio nobel per la pace, Mohammad Yunus, leader del governo provvisorio in Bangladesh (Photo by MUNIR UZ ZAMAN / AFP)

Secondo l’analisi offerta da Bruxelles, “non vi sono indicazioni di espulsione, allontanamento o estradizione di cittadini del Bangladesh verso Paesi in cui sussiste il rischio di pena di morte, tortura, persecuzione o trattamenti inumani o degradanti”. Se permangono “tensioni sporadiche” che coinvolgono minoranze indigene e religiose, le persone Lgbtqi “continuano a subire discriminazioni e vessazioni“. L’omosessualità è un reato punibile con il carcere. Nonostante la ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, in Bangladesh “la violenza di genere rimane un problema diffuso, con episodi di molestie sessuali sul posto di lavoro e nelle scuole”.

Lo stesso vale per la Convenzione contro la tortura e trattamenti crudeli, inumani e degradanti: Dacca l’ha ratificata, ma – almeno fino al precedente governo – “sono stati segnalati casi di tortura e maltrattamenti di detenuti da parte delle forze dell’ordine e dell’esercito”. Nell’ordinamento è ancora prevista la pena di morte, ma “le condanne pronunciate sono raramente eseguite”. Infine, “non vi sono conflitti armati in corso e non sussiste quindi alcuna minaccia dovuta a violenze indiscriminate in situazioni di conflitto armato internazionale o interno”, stima la Commissione.

La fine dello stato di emergenza in Egitto

In Egitto si ripetono criticità analoghe. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi, al potere dal 2014, ha abolito nel 2021 lo stato di emergenza (in vigore, salvo per una breve pausa dal 2012 al 2017, da quarant’anni). Tuttavia, le autorità “continuano a ricorrere ai tribunali di emergenza e militari per perseguire le persone in base a disposizioni generiche della legislazione antiterrorismo e di altre leggi”, rileva la Commissione europea. E sebbene la Costituzione tuteli l’identità religiosa e di genere e la legge punisca i reati di discriminazione e incitamento all’odio, “alcune confessioni religiose possono essere oggetto di discriminazione nella pratica” e “i difensori dei diritti umani, gli attivisti politici e gli oppositori possono essere vittime di arresti arbitrari e torture e possono essere oggetto di misure quali restrizioni di viaggio e congelamento dei beni”.

Ursula von der Leyen Egitto
Ursula von der Leyen con il presidente egiziano, Abdel Fattah al-Sisi

Bruxelles ammette che le sfide in materia di diritti umani in Egitto “rimangono significative”, ma sottolinea alcune misure incoraggianti adottate negli ultimi anni. Nella Strategia nazionale per i diritti umani, il Cairo ha messo in agenda una riforma delle norme sulla detenzione preventiva e un miglioramento delle condizioni di detenzione, oltre che un restringimento dei reati punibili con la pena di morte e un “rafforzamento della cultura dei diritti umani in tutte le istituzioni governative”.

Per entrambi i Paesi, nonostante la sfilza di problematiche messe nere su bianco nella proposta legislativa, la Commissione europea mette in risalto i progressi più recenti e conclude che “alla luce dell’analisi svolta e come dimostrato anche dal basso tasso di riconoscimento a livello dell’Ue”, le popolazioni di Bangladesh ed Egitto non sono “in generale soggette a persecuzioni o a un rischio reale di subire gravi danni”. Lo stesso vale per la Tunisia, il cui autoritario presidente Kais Saied – afferma un report diffuso proprio ieri da Human Rights Watch – “ha fatto delle detenzioni arbitrarie una pietra miliare della sua politica di repressione, allo scopo di privare i cittadini dei loro diritti civili e politici”.

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Redazione Italia24 News