Violenza di genere, la Corte europea dei diritti dell’uomo condanna la Francia

Bruxelles – La Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) bacchetta la Francia sulla normativa che punisce i reati sessuali. E versa benzina sul fuoco di un dibattito pubblico particolarmente acceso Oltralpe negli ultimi mesi, sulla scia dello storico processo Pelicot.
Con la sentenza emessa oggi (24 aprile) la Cedu, l’organo giuridico del Consiglio d’Europa con sede a Strasburgo, ha dato ragione alle tre donne francesi che l’avevano adita, sostenendo che le autorità transalpine non le avevano tutelate adeguatamente rispetto alle violenze sessuali subite quando avevano rispettivamente 13, 14 e 16 anni. Nello specifico, le ricorrenti hanno sottolineato che gli inquirenti e i tribunali nazionali non avevano preso in sufficiente considerazione la loro giovanissima età e la conseguente vulnerabilità di fronte agli aggressori.
Nella loro decisione, i giudici rilevano che in tutti e tre i casi “i tribunali nazionali non avevano valutato adeguatamente l’impatto di tutte le circostanze che avevano circondato gli eventi; né avevano tenuto sufficientemente conto, nel valutare se le ricorrenti fossero state in grado di comprendere e dare il loro consenso, delle situazioni particolarmente vulnerabili in cui si erano trovate, soprattutto in considerazione della loro età”.
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— ECHR CEDH (@ECHR_CEDH) April 24, 2025
In due casi su tre, si legge ancora nel dispositivo, “i procedimenti penali non erano stati condotti tempestivamente o con la dovuta attenzione“. Lentezza e superficialità. Non si tratta, hanno precisato i giudici, di un verdetto sulla responsabilità penale delle persone accusate di aver compiuto i crimini in questione, bensì di una valutazione procedurale sulla condotta delle autorità giudiziarie transalpine, che riflette (negativamente) sull’effettiva tutela dei diritti umani proprio nella nazione che rivendica (a torto o ragione) di averli inventati.
Il primo caso riguardava una ragazza che all’epoca dei fatti, nel 2009, aveva 13 anni. Descrittasi come “psicologicamente fragile”, la donna ha denunciato di essere stata violentata da due vigili del fuoco di 21 anni e ha dichiarato, tra le altre cose, che i suoi contatti personali sono poi stati diffusi con altri pompieri che l’hanno successivamente molestata. La seconda ricorrente ha denunciato uno stupro da parte di un 21enne e un 29enne all’età di 14 anni, mentre la terza ha raccontato di essere stata violentata da un 18enne nella propria casa dopo una festa, quando di anni ne aveva 16.
La Corte ha così condannato la Francia per la violazione di una serie di articoli della Convenzione europea dei diritti dell’uomo dove si vietano espressamente la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, nonché di quelli che sanciscono il diritto delle donne al rispetto della propria vita privata.
La sentenza odierna è destinata a mantenere vivo – e probabilmente a rinfocolare – il dibattito nazionale sull’opportunità di includere nella definizione di stupro fornita dal diritto penale anche la nozione del consenso, o per la precisione della sua assenza. Dall’anno scorso, quando si è celebrato lo storico processo a Dominique Pelicot ed altri 50 uomini accusati di aver stuprato ripetutamente Gisèle, la moglie di Pelicot che questi drogava a tale scopo, la discussione si è incentrata soprattutto sulla dimensione (non) consensuale dell’atto sessuale.
Le norme francesi hanno inasprito le pene per la violenza e la “cattiva condotta” sessuale, ma c’è ancora molta strada da fare secondo gli attivisti per i diritti umani d’Oltralpe. Ad oggi, la legislazione nazionale ritiene soddisfatta la definizione di stupro quando “un atto di penetrazione sessuale o un atto orale-genitale viene commesso su una persona, con violenza, coercizione, minaccia o sorpresa“.
Nel merito, i sistemi normativi dei Ventisette differiscono molto. Quel che è certo è che in Ue i numeri sulla violenza di genere sono ancora pericolosamente alti: una donna su tre subisce almeno una violenza sessuale nel corso della propria vita in ambiente domestico, sul posto di lavoro o in un luogo pubblico. Per metà della popolazione dell’Unione – che si professa baluardo dei diritti umani a livello globale – nessun luogo è sicuro, nonostante i passi in avanti compiuti dai legislatori comunitari (e da alcuni Stati membri) nella giusta direzione.
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